Durante l’assemblea della Associazione del 2015, ai presenti è stato chiesto di esprimere, con una parola, quello che rappresenta l’hospice.
Sintetizzare, in un unico termine, cosa significa hospice, per chi ci lavora, fa volontariato o sostiene l’associazione è stata una bella occasione per fermarsi un attimo a pensare al nostro fare e essere, lasciando affiorare nella nostra testa e nel nostro animo immagini, sensazioni, sentimenti, esperienze…
Equipe, dignità, insieme, sorriso, vita, casa, cuore, condivisione, mano, persone, compagnia, accoglienza, serenità….
Queste le parole che si ripetono, a sintetizzare che l’hospice rappresenta uno spazio e un tempo in cui c’è vita, ci sono persone che condividono, che fanno insieme. Un ambiente che sa di casa, che ciascuno cerca di rendere il più accogliente e sereno possibile, con un sorriso, tenendo compagnia, porgendo o dando una mano, lavorando in équipe.
E questo avviene concretamente nella quotidianità, somministrando farmaci, prendendosi cura del corpo e della persona nella globalità, offrendo supporto psicologico a pazienti e malati, ascoltando…
Il contatto con ciascun ammalato e familiare, infatti, inizia dal primo colloquio e continua nel momento in cui si entra nella stanza: è il nostro atteggiamento, il nostro corpo che comunicano per primi, poi gli occhi, lo sguardo; dopo entriamo in relazione con la voce, con il nostro modo di parlare, col tono del nostro dire, e poi, naturalmente, con le parole che pronunciamo. Un luogo che diventa spazio relazionale, in cui chi è ricoverato può ritrovare ancora, insieme a familiari, operatori e volontari, un senso della propria vita, scegliendo anche modalità concrete e personali nel congedarsi: da soli o in silenzio, accompagnati dal dialogo, dando sfogo al pianto e alla rabbia, sistemando questioni pratiche (economiche, finanziarie, affettive…) o delegando altri a farlo…
Anche il contatto con le mani -il medico che visita il paziente, l’infermiere che da le terapie, l’operatore che aiuta nell’igiene, il volontario o familiare che accarezza o tiene le mani, fino alla sperimentazione più formale, negli ultimi mesi, di chi fa il tocco massaggio o cura la parte estetica- è una costante del nostro lavoro, e il modo in cui si fa trasmette molto… Riprendo la testimonianza di M. De Hennezel nel suo libro “La morte amica” che ben esprime come il paziente viva il contatto e la relazione con l’operatore: “… gli piace che io ponga adagio le mani sui suoi occhi, sulle gambe, su quei punti del corpo che lo fanno soffrire. Gli piace questo contatto pieno di rispetto per la sua persona, sente di essere un’anima viva… Una volta ha definito questi momenti una carezza dell’anima”. Sentire, stare con quello che viviamo nel qui e ora, ascoltare le proprie emozioni e accogliere quelle dell’altro, comprendere i suoi bisogni, questo è … hospice, ovvero alleviare i sintomi con i farmaci, ascoltare, stare in silenzio, sostenere il diritto dell’ammalato a vivere una vita dignitosa fino alla fine, riconoscendolo sempre come persona.